Descrizione
Majella
‘Majella’ spinge a ripensare l’approccio dell’uomo con la natura, affrontando la considerazione che qualcosa si è perso nel modo in cui viviamo la nostra vita nei tempi moderni e sottolinea l’urgenza di recuperare il rapporto di reciprocità con il mondo naturale per perseguire il progresso della vita sulla Terra. Sono cresciuto in Abruzzo, una regione centrale sulla costa orientale dell’Italia, attraversata dalla catena montuosa degli Appennini. Per questo motivo, ho sempre potuto ammirare le montagne, anche da vicino, e poiché le montagne e i boschi mostrano ancora l’antico rapporto che esisteva tra la presenza degli uomini e la loro terra, ho sempre considerato quei luoghi unici. In particolare, la Majella è la seconda montagna più alta dell’Appennino e con essa ho coltivato un rapporto intenso, soprattutto per la particolare simbologia di madre legata alla sua figura. Infatti, la leggenda della sua formazione si basa sul racconto della morte della Pleiade Maja, da cui eredita sia il nome che la sua spiccata forma di donna reclinata. Negli ultimi anni ho vissuto altrove, per lo più in aree densamente urbanizzate, perché è così che si immagina una vita migliore nel mondo modernizzato e, purtroppo, questa migrazione è diventata il destino di molti di coloro che sono cresciuti nella catena appenninica. Questo flusso di abbandono ha rotto un legame secolare e reciproco che esisteva tra gli insediamenti dell’uomo e la natura selvaggia. Da quando ho lasciato quei territori, la montagna è diventata l’immagine archetipica del mondo naturale lontano. Con un tono personale, questo lavoro esprime il mio senso di perdita in seguito alla separazione da questi luoghi naturali, che diventa allegorico per la più ampia condizione esistenziale della specie umana. La montagna rappresenta la natura, uno stato che l’umanità ha abbandonato perseguendo l’antropocentrismo. La “Majella”, quindi, è la storia di una montagna che parla della sua eccezionale capacità rigenerativa in cicli di rottura e riunificazione, una capacità che oggi manca totalmente all’umanità, poiché la presenza della vita è costantemente messa in pericolo dalle attività antropiche. In questo modo, le rotture e le crepe non solo simboleggiano la rigenerazione ma, allo stesso tempo, evocano la sensazione di perdita, rappresentando il pericolo che la vita possa scomparire a causa della separazione avvenuta. L’arte rappresenta una rete di sicurezza; ogni volta che un’immagine viene strappata e poi riassemblata, assume una nuova vita e una nuova semantica. Forse questo è un messaggio di speranza che l’umanità sia in grado di ritrovare lo stesso legame che ha permesso la nostra sopravvivenza fin dall’inizio.